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Fare Teatro: intervista con il Dott. Ambrogio Zaia

Cosa vuol dire, dal suo punto di vista, fare teatro?

È una forma mascherata per mettere in scena le emozioni e i sentimenti che animano la parte più profonda della nostra mente. È un modo per dare corpo alle nostre fantasie, ai nostri desideri. È un modo per incontrare le nostre difficoltà senza esserne travolti.
In altre parole, è un modo per ricercare un benessere psicofisico, per incontrare se stessi, per uscire dall'isolamento relazionale che la frenesia della vita quotidiana ci impone.

Il teatro poi è una delle manifestazioni più antiche dell’uomo. Se vogliamo una delle più antiche forme di psicoterapia. È un luogo dove dare forma alla vita intima. Un luogo dove oltre al sentire mettiamo in scena, o meglio in gioco, noi stessi. Dove l’emozione diventa corpo e si dissolve nel movimento. È il luogo privilegiato dove esprimere la propria intimità senza pericoli (catarsi di Aristotele). Il teatro libera la mente. È quindi un’esperienza individuale vissuta con il gruppo e che si consolida nella relazione.

Che cosa può dare il teatro alla persona?
Penso che come il rito, l’attività teatrale crea lo spazio per esprimere nel modo più semplice, spontaneo e diretto possibile la vitalità dell’essere umano. È un luogo dove creare e dare forma alla relazione, con sé, con l’altro, con gli altri.
È quindi un luogo di studio, di ricerca e di conoscenza. Uno studio dove il razionale entra al servizio delle emozioni, poiché sono proprio loro le “emozioni” che danno il colore alla nostra vita.

 

Che cosa succede allora alla persona quando vive un'esperienza teatrale?
Nella mente della persona accadono molte cose, ma sono convinto che la grande magia sia di poter passare dal tempo reale a quello dell’immaginario. Tutto sembra apparentemente entrare in una sorta di sospensione temporale dove, quasi per magia, la creatività prende forma nel corpo della rappresentazione.
Quando affermo che la creatività prende forma nella rappresentazione succede quello che avviene nel sogno. Ogni notte i noi diventiamo i creatori dei nostri sogni. Costruiamo la trama e la rappresentiamo impersonificando contemporaneamente tutti i personaggi. Noi siamo registi, attori, spettatori dei nostri sogni. Viviamo emozioni da quelle più semplici a quelle più complesse; da quelle più nobili a quelle che si nascondono nei meandri delle nostre paure. Con il sogno puliamo la mente. Con l’attività teatrale diamo corpo ai nostri desideri, paure, fantasie e fantasmi e in qualche modo puliamo la mente.
Noi psicologici diciamo che ci identifichiamo al personaggio e con lui riviviamo noi stessi.
Non succede solo questo. Nell'interpretare il personaggio, noi creiamo consapevolezza. Abbiamo la possibilità di vedere parti di noi stessi che la vita quotidiana non permette di esprimere. E questo, secondo me, è il primo passo per cambiare i meccanismi psichici di relazione intima. È una prima forma di psicoterapia.

 

Il teatro come tecnica.
Anche la tecnica ha quindi il suo valore. Io non sono un esperto di tecnica teatrale, ma posso dire che lo studio e la ricerca aiuta la persona a incanalare le proprie energie psichiche. Le indirizza in una forma protetta dove, al termine della rappresentazione, possiamo riprendere la nostra forma sociale.
Ci tengo molto a porre l’accento sulla necessità di costruire il percorso teatrale per trasmettere alle persone l’arte dell’espressione, lasciando che siano le stesse persone a trovare il proprio modo di esprimersi.
La tecnica diventa quindi utile per canalizzare i sentimenti in una forma protetta dove, per quanto si dica o si faccia, non vi saranno mai delle conseguenze sociali, anzi…

 

Perché dunque fare teatro?
La sensazione più bella che si possa provare è quella della libertà. Sentirsi liberi di esprimersi, con la propria spontaneità e nel modo più semplice possibile. È un modo per mettersi in gioco a rischio zero. Rende più consapevole la persona delle proprie potenzialità e dei limiti individuali e quindi consolida la capacità di stare con gli altri. Aiuta a superare alcune paure e fa uscire dall'isolamento personale e relazionale. È un po’ come riportare l’adulto alla capacità creativa di quando era bambino e, diceva Pablo Picasso: "Ogni bambino è un artista, il problema è come rimanere artisti una volta cresciuti".

Dott. Ambrogio Zaia

(psicologo, psicoterapeuta, micropsicanalista)

Nota a margine.

Il termine catarsi deriva dal greco kátharsis, deriva da katháirein, "purificare": la liberazione dell'individuo da una contaminazione che danneggia o corrompe la natura dell'uomo. Aristotele nella poetica dice che il fine della tragedia è la catarsi e che gli spettatori, identificandosi negli attori che recitano vicende terribili, si purificano da quei sentimenti che anche loro provano e al termine dello spettacolo possono ritornare alle loro occupazioni di tranquilli cittadini.

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